
Non sempre ce ne rendiamo conto ma siamo circondati da algoritmi sempre al lavoro.
Quando facciamo una ricerca su Google è grazie ad un algoritmo che otteniamo una risposta, così come è sempre un algoritmo a farci comparire gli annunci pubblicitari coerenti con la nostra richiesta.
Quando scarichiamo la nostra casella di posta elettronica è un algoritmo a filtrare i messaggi spam e a renderci la vita più facile.
Quando apriamo la home page di Amazon o cerchiamo un film su Netflix, gli algoritmi lavorano per suggerirci gli articoli e i titoli che potrebbero piacerci.
Così accade anche su Facebook dove il misterioso algoritmo che governa i criteri di visualizzazione dei post è studiato quasi come un oracolo da schiere di social media manager che tentano di scoprirne la logica per ottenere le prestazioni migliori per i loro clienti.
Che poi diciamo algoritmo per semplificare un po’ un processo che nel corso degli ultimi anni si è trasformato insieme al nostro modo di interrogare le macchine e i software con cui abbiamo a che fare ogni giorno.
Fino a qualche anno fa, per far eseguire una qualunque azione a un computer avremmo dovuto sviluppare un algoritmo dettagliato che tenesse conto di ogni operazione da compiere per giungere al risultato auspicato.
Oggi i computer non hanno più bisogno di essere programmati (in maniera tradizionale).
C’è chi dice che lo facciano da soli.
Sì, ma come?
Attraverso una cosa che si chiama machine learning i cui algoritmi, detti learner, sono in grado di capire dai dati cosa devono fare.
E più sono i dati disponibili e migliori saranno le performance di cui ci gioveremo: ricerca, acquisto o qualunque altra cosa ci passi per la testa di fare quando ci mettiamo seduti davanti ad uno schermo e a una tastiera e affidiamo ad una o più parole la soluzione di una nostra necessità.
E non pensate che i learner abitino solo la internet.
Li ritroviamo al lavoro nella radiosveglia che sceglie per noi il brano con cui farci aprire gli occhi e magicamente quel brano, anche se sconosciuto, ci piace.
O nella temperatura ottimizzata della cucina ottenuta con un termostato intelligente che incrocia i dati della temperatura esterna con quelli di quella interna rilasciando la giusta quantità di calore abbattendo gli sprechi.
O, ancora, immaginate quanto lavoro fanno per noi i poveri algoritmi quando con lo smartphone in mano lo vediamo correggere le parole che digitiamo maldestramente, o riconoscere i codici a barre dei prodotti al supermercato, o interpretare i comandi vocali che impartiamo al Siri di turno.
Non resta che augurarci un buon algoritmo a tutti.